La rigenerazione urbana serve per ricucire un tessuto lacerato dalle crisi
La pandemia ci ha costretti a restare nel quartiere, nella città, con poche possibilità di spostamento dovute dalle misure di sicurezza anti-contagio. Questo ci ha permesso di vivere quegli spazi che le città offrono accorgendoci che in realtà sono più quelli dismessi e in disuso che spazi che offrono delle effettive potenzialità di coinvolgimento sociale.
La rigenerazione urbana parte proprio da qui, dal sociale. Ci offre quella possibilità di investire nel nostro territorio partendo dal coinvolgimento della comunità, perché siamo noi ad abitagli gli spazi. Rigenerare le nostre città e i nostri territori è quindi uno dei compiti più impegnativi e più urgenti che ci viene richiesto da questo tempo.
È in questa direzione che si è mosso il disegno di legge n. 1131, in esame al Senato dal 30 settembre 2020, affrontando il tema legato alla rigenerazione urbana.
Il ddl è «finalizzato a favorire la rigenerazione urbana quale complesso sistematico di trasformazioni urbanistiche ed edilizie su aree e complessi edilizi caratterizzati da uno stato di degrado urbanistico edilizio o socio-economico», applicando politiche di sostenibilità ambientale e proponendo la rigenerazione urbana come materia del governo del territorio, impegnandola come alternativa al consumo del suolo e alla desertificazione delle città.
Rigenerazione urbana: cosa significa?
Prima di entrare in merito del ddl, vediamo di fare chiarezza. Il termine rigenerazione urbana è spesso utilizzato impropriamente come sinonimo dei suoi colleghi: riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, riabilitazione, rinnovo. Questo accade perché il termine rigenerazione urbana non è presente da molto tempo, a differenza di quelli sopracitati, di quel lessico che si occupa del territorio, delle discipline che si interfacciano con la città, il paesaggio e l’ambiente.
In realtà vede le sue origini in Gran Bretagna con l’ Urban Regeneration durante la metà degli anni Settanta del Novecento. In Italia abbiamo avuto tre fasi o cicli di quella che attualmente definiamo grossolanamente rigenerazione urbana: la prima coincide agli anni Settanta con la riqualificazione dei centri storici, la seconda è avvenuta negli anni Ottanta con il recupero delle aree dismesse, e il terzo, il presente che viviamo, vede la riqualificazione di quei quartieri costruiti nella seconda metà del Novecento con materiali di scarsa qualità sia edilizia e architettonica sia urbanistica.
Palese è che questi termini vengono intercambiati spostando la vera intenzione della pratica della riqualificazione urbana. Non è infatti solo una questione lessicale, ma alternando questi termini come fosse sempre lo stesso si perde l’impegno operativo della materia che vede coinvolgere in primo luogo la comunità, ripensare al genere del luogo, e infine tutto ciò che riguarda il governo del territorio.
Anche oggi, siamo in presenza di questi scambi lessicali che mescolano e spiegano la rigenerazione urbana con altri termini, creando confusione anche sul piano delle leggi, compreso nel recente Decreto Interministeriale dove si alternano i termini di cui sopra come sinonimi.
Semplificando, tutte queste parole che si interlacciano tra di loro hanno ognuna il proprio campo di azione. Quando usiamo quei termini ci rifacciamo a qualcosa che ha perso, in parte o totalmente, la sua funzione pre-esistente e che ci si appresta, con i dovuti interventi, a ripristinare. Ciò che è destrutturato si ristruttura, ciò che è dequalificato si riqualifica e via dicendo.
Seguendo questo ragionamento si rigenera quello che ha perso il suo genere, quei caratteri ritenuti essenziali e distintivi: l’identità.
Ciò non toglie che una volta definita cosa sia la Rigenerazione Urbana, è fondamentale che diventi insieme alla sostenibilità ambientale, con la quale “va a braccetto”, il fondamento basilare per un modo nuovo di pensare la città. È fondamentale in un momento storico come quello che stiamo vivendo ripensare ai luoghi della città.
Tra le conseguenze dell’emergenza climatica, quelle della crisi economica e quelle della pandemia, abbiamo sviluppato una grande consapevolezza sulla fragilità e vulnerabilità del nostro territorio avvicinandoci sempre di più allo sviluppo, o quanto meno all’intenzione, di una prospettiva più sostenibile, rigenerando spazi che sono in disuso da anni e che occupano porzioni di territorio che potrebbero essere integrate nella città e nel tessuto sociale. È quindi necessario e quasi un atto morale, che il miglioramento delle condizioni di vita dipenda dalla capacità di reinventare aree o quartieri sottoutilizzati, di dare nuova vita ad edifici dismessi o a spazi pubblici degradati, permettendo alla comunità di riappropriarsi e godere di aree periferiche altrimenti abbandonate.
Parlando con i numeri, attualmente il resoconto di Scenari Immobiliari individua nelle aree industriali complessi molto difficili da integrare e ripensare, a causa delle grandi metrature o dei scarsi materiali di costruzione. Attualmente nelle città metropolitane ne sono stati censiti circa 8.500, di cui circa 1.300 vuoti e inutilizzabili.
Ed è questo l’esempio più calzante per spiegare di cosa si occupa e in cosa consiste la rigenerazione urbana. Le aree industriali dismesse, abbandonate e in degrado non sono più riqualificabili o ristrutturabili, per essere ripristinate nella loro funzione originaria. È questo il caso in cui si può parlare della rigenerazione urbana, ossia dare a quello spazio dei nuovi caratteri distintivi che lo rendono integrabile nel tessuto sociale, e non riportarlo alla sua condizione pre-esistente.
Perché è importante capire questa distinzione? Perché non si farebbe altro che aumentare la confusione sulle azioni pratiche da intraprendere, finendo per definire rigenerazione anche la ristrutturazione di un palazzo.
Oltre alle aree industriali che sono terreno fertile per la rigenerazione urbana, Scenari Immobiliari identifica nelle città differenti immobili nei capoluoghi e nelle aree metropolitane potenzialmente interessati della rigenerazione, per un totale di circa 73.000. Di questi circa 48.500 edifici, da riqualificare totalmente o in parte, in 97 città capoluogo e circa 24.500 nei 14 capoluoghi delle città metropolitane.
Rigenerazione urbana: disegno di legge all'esame del Senato
Il disegno di legge in esame al Senato si muove proprio in direzione di questi numeri. Scrive in merito Andrea Ferrazzi “Finalmente possiamo modificare in modo organica la normativa nazionale (ferma al 1942…) per rigenerare le nostre città. Stop all’urbanistica espansiva che consuma il territorio, stop ai disegni di città che distruggono gli spazi verdi e inquinano i nostri polmoni. Sì al Green, alla mobilità sostenibile, all’efficienza energetica, al taglio delle emissioni nocive, all’adattamento climatico, al contrasto delle bombe d’acqua, alle inondazioni, alle isole di calore. Si alla qualità della vita, per noi e per i nostri figli”.
Il piano stabilito include anche quegli interventi che mirano alla ripopolazione della città. Nel testo del disegno di legge si parla di «città deliranti», ovvero quel fenomeno che investe da un parte la continua espansione e senza limiti di consumo del suolo, dall’altra parte si assiste ad uno svuotamento delle aree all’interno delle città stesse, lasciandole al degrado e all’abbandono: nei centri storici, in quelli urbani e nelle periferie.
Quindi tra le finalità del ddl c’è proprio un ripensamento e una riprogettazione delle aree urbane non solo di rigenerazione. Si vorrebbe e dovrebbe attuare un processo che disegni nuovamente l’assetto delle città che riveda anche il concetto di periferia che ha ormai da tempo perso il suo significato tipografico originale. Oggi la periferia ha assunto un valore basato sulle condizioni socio-economiche sulle quali non si investe in infrastrutture lasciandole spesso al degrado e all’abbandono.
E questa è una caratteristica comune del nostro Paese, alla quale è imputabile il fenomeno dello spopolamento che è direttamente proporzionale all'allargamento sconfinato delle città. Città senza luoghi pensati per la comunità, frenetiche e avide di spazio, sono un male per la comunità stessa che viene sempre più allontanata e smembrata.
«Rigenerare le nostre città e i nostri territori è uno dei compiti più impegnativi e più urgenti che ci viene richiesto dai nostri tempi.»
Vediamo nel dettaglio il ddl.
Rigenerazione urbana: le finalità del ddl
Le finalità che pone il disegno di legge nell’ambito della riqualificazione urbana sono diverse:
- riuso edilizio di aree già urbanizzate e di aree produttive
- miglioramento del decoro urbano
- sostegno della biodiversità in ambiente urbano
- contenimento del consumo del suolo
- riduzione dei consumi idrici
- tutela dei centri storici caratterizzati da forte pressione turistica
- contrasto della desertificazione commerciale
- integrazione delle infrastrutture della mobilità con il tessuto urbano
- sostegno dell’edilizia residenziale o abitativa sociale, ossia il social housing
- favorire la partecipazione attiva degli abitanti sin dalle fasi di progettazione
- garantire una nuova qualità e una sostenibilità della vita stessa dei cittadini all’interno degli spazi urbani.
Il disegno di legge prevede di istituire un Fondo nazionale per la rigenerazione urbana, di 500 milioni di euro a partire dall’anno 2020 fino all’anno 2039, le cui risorse sono destinate al cofinanziamento dei bandi regionali per la rigenerazione urbana.
Annualmente le risorse del Fondo verranno destinate al:
- rimborso delle spese di progettazione degli interventi previsti nei Piani comunali di rigenerazione urbana selezionati;
- finanziamento delle spese per la redazione di studi di fattibilità urbanistica ed economico-finanziaria di interventi di rigenerazione urbana;
- finanziamento delle opere e dei servizi pubblici o di interesse pubblico e delle iniziative previste dai progetti e dai programmi di rigenerazione urbana selezionati;
- finanziamento delle spese per la demolizione delle opere incongrue;
- ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico, da destinare alle finalità previste dai Piani comunali di rigenerazione urbana approvati.
Riguardo il primo punto, le risorse del Fondo servono a coprire le spese necessarie alla redazione dei Piani comunali di rigenerazione urbana selezionati. I comuni, personalmente o su proposta dei proprietari dell’ “oggetto da rigenerare” o su quella degli aventi titolo, dovranno redigere i piani sulle aree interessate andando a definire gli obiettivi che si intendono raggiungere.
Una volta che il Piano comunale viene approvato accede al bando regionale e per l’assegnazione delle risorse del Fondo. Tali piani vanno approvati nel rispetto delle misure a tutela dei beni culturali e dei centri storici.
Si parla anche di definire i concorsi di progettazione e d’idee come alternative nel caso in cui la progettazione dei singoli interventi non possa essere presa in carico dall’ amministrazione comunale.
Non mancano inoltre gli incentivi sotto forma di detrazioni fiscali di vario genere, tra cui l’esenzione da Imu, Tasi e Tari per gli immobili interessati nelle aree di intervento di rigenerazione urbana, fino alla fine degli stessi previsti nel Piano comunale di riferimento.
Dunque, ci stiamo muovendo nella giusta direzione.
La pandemia ci ha ricordato quanto sia importante migliorare le condizioni del vivere locale in termini d’integrazione sociale e ambientale all’interno della rete cittadina e comunitaria attraverso scelte mirate riguardo la rigenerazione urbana.