I confini delle colpe per vizi delle opere
L'Ance ha racchiuso in un'interessante documento le pronunce storiche che negli anni, hanno risolto controversie nate dopo la fine dei lavori, partendo proprio dall'art.1669 c.c. che ricordiamo recita così:" Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata , se, nel corso di dieci anni dal compimento , l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione , rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa , purchè sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta . Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.
Nell'art.1669 del Codice Civile quindi si specifica, in merito, che la responsabilità per rovina, vizi e gravi difetti che possono manifestarsi nei dieci anni successivi all'esecuzione dell'intervento edilizio sull'immobile o su parti di esso, può riguardare l'impresa che realizza i lavori e coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell'edificio che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera.
Di chi la colpa per gli errori commessi in un lavoro edile?
Dal documento pubblicato dall'Ance ( http://www.ingenio-web.it/immagini/CKEditor/60234-pdf1.pdf) riassumiamo le indicazioni giurisprudenziali ottenute.
Impresa non responsabile
Sono pochi i casi in cui l'impresa si salva.
Succede:
- quando il vizio non è rilevabile secondo l'ordinaria diligenza, ad esempio perchè non si hanno le sufficienti conoscenze a disposizione;
- quando l'errore sia stato segnalato al committente ma quest'ultimo abbia egualmente richiesto di eseguire l'opera;
- quando i danni sono dovuti al caso fortuito;
- quando l'impresa non dispone di nessuna autonomia nella realizzazione dell'opera perchè è un mero esecutore.
Responsabilià = controllo
La responsabilità è del soggetto con potere di direttiva e di controllo sull'operato altrui. L'impresa, di solito, mantiene una certa autonomia e può valutare in modo critico sia il progetto che le istruzioni fornite dal committente dal momento che ne ha le competenze tecniche ed operative.
La duplice responsabilità
Il progettista risponde per l'errata progettazione, mentre l'impresa risponde in due casi:
- se si accorge dell'errore e non lo comunica tempestivamente,
- sia se avrebbe dovuto accorgersene e non lo ha fatto.
Tra gli obblighi di diligenza dell' impresa rientra il controllo della validità tecnica del progetto fornito . Da comprendere che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato atteso e l'impresa ha proprio un obbligo di risultato. Il consiglio dell'ANCE alle imprese è quindi quello di inserire nei contratti specifiche previsioni sulla responsabilità dell' impresa in relazione a eventuali vizi e difetti derivanti dall'attuazione del progetto fornito dal committente.
Il ruolo del direttore dei lavori
Deve vigilare e garantire il risultato di una regolare realizzazione dell'opera, da chiarire che non è richiesta la sua presenza costante in cantiere. Nel caso in cui non vengano rispettate le regole dell'arte e la corrispondenza tra il progettato e il realizzato, il direttore dei lavori ha l'obbligo di informare il committente. Anche in tal caso è auspicabile inserire nel contratto clausole in grado di circoscrivere la sua responsabilità .
Diverse le recenti sentenze della Cassazione sono dello stesso orientamento, benchè da valutarsi nel caso di specie.
Responsabilità dell'appaltatore anche per gli errori del progettista
L'appaltatore è responsabile anche in caso di ingerenza del committente, "cosicchè la responsabilità dell'appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori, ove egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto".
E' quanto affermato di recente dalla Corte di Cassazione con la sentenza 20214/2017 del 21 agosto, che ha condannato un'impresa appaltatrice per i danni a una struttura edilizia realizzata in modo non corretto. Non sussiste, quindi, concorso di colpa tra committente e appaltatore, ma responsabilità diretta dell'appaltatore.
Di fatto, l'eventuale incongruità deve palesarsi in modo chiaro al committente, al progettista e al direttore dei lavori, con dissenso manifestato in forma esplicita (scritto o dimostrabile tramite testimoni) prima di procedere all'esecuzione. Se non c'è questo dissenso, l'appaltatore è corresponsabile dei danni perchè non si è accorto - colpevolmente - delle problematiche.
Responsabilità comunque dell'appaltatore anche per istruzioni errate del committente
L'appaltatore, deve assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, ed è quindi obbligato a controllare, sempre nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano manifestamente errate, può esentarsi da responsabilità, soltanto, se dimostra di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato pertanto indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le ostinazioni del committente ed a rischio comunque di quest'ultimo.
Questo a quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza 21959/2017 dello scorso 21 settembre, che si pone sulla stessa linea di alcune precedenti pronunce in merito. Secondo gli ermellini, se manca questa prova, l'appaltatore " è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, nè l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori".
Nel caso di specie, l'appaltatore avrebbe dovuto controllare - e non sembra l'abbia fatto - nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e non risultava dagli atti che l'appaltatore avesse eseguito l'opera di cui , su specifiche istruzioni del committente, contrarie alle sue indicazioni.