Il futuro della progettazione sostenibile sarà sempre più connesso con le grandi reti di cooperazione e non più con i singoli professionisti.
Nel libro Where the good ideas come from?, lo scrittore e sociologo statunitense Steven Johnson descrive il processo che porta alle grandi idee. Non si tratta di intuizioni isolate, frutto della genialità di un singolo, ma le idee innovative derivano dal confronto e dalla partecipazione al processo di creazione di più persone.
Quando si parla di architettura, però, l’idea del singolo architetto resta difficile da sconfiggere e aggiornare con l'idea di più menti creative al lavoro su un progetto comune. Da Frank Lloyd Wright a Rem Koolhaas, i designer più famosi sono spesso percepiti come geni che lavorano da soli, anzi che hanno bisogno di lavorare da soli. Il movimento della progettazione sostenibile, però, potrebbe modificare questo trend a vantaggio degli studi di grandi dimensioni.
Le imprese più grandi hanno in genere una maggiore flessibilità rispetto ai piccoli studi, e si caratterizzano per essere ambienti più dinamici e volti a sperimentare. La norma nei più famosi studi è ancora rappresentata dal vecchio stile gerarchico. Si tratta di piccoli atelier dove c’è un progettista importante e una serie di collaboratori minori che non partecipano realmente al processo progettuale. Qui è più difficile cambiare stile o tentare d’innovarsi.
Il vantaggio di una “spersonalizzazione” dell’architettura è chiaro: un maggior numero di persone porterà tendenzialmente più idee, con una grande differenziazione. Un tasso potenziale di innovazione che, presumibilmente, sfocerà in progetti sempre più green, humus tipico della sperimentazione.
Gli architetti che lavorano nei grandi studi hanno sicuramente un ambiente lavorativo molto diverso.